Il tendine di Achille è il tendine più lungo del nostro corpo, soggetto a sollecitazioni molto importanti, storicamente simbolo di elasticità ma anche di vulnerabilità.
“Questo tendine, se lesionato o tagliato, provoca le febbri più acute, induce il soffocamento, turba la mente e alla fine porta la morte…”
Così scriveva Ippocrate intorno al 400 a.C. riguardo al tendine di Achille, ma anche oggi la sua lesione comporta problematiche per il paziente non banali, con serio impatto sulla qualità di vita generale.
La modalità di trattamento della lesione (anche completa) del tendine achilleo non ha peraltro tuttora consensi univoci, a partire dalla scelta se intraprendere un trattamento chirurgico o meno.
La letteratura oggi sostiene che il trattamento chirurgico comporta un rischio di recidiva di circa 2-4 volte inferiore rispetto al trattamento conservativo (0-3% vs 10-15%) e a minori problemi legati alla guarigione “in allungamento” del tendine (frequente con trattamento conservativo).
Ovviamente considerando i rischi di possibili complicazioni legati alla chirurgia; ferita e cicatrice, disfunzione del nervo surale e ovviamente al rischio infettivo, presente in ogni tipo di intervento chirurgico.
L’approccio chirurgico alla lesione, specie se completa o di grado elevato, è praticamente sistematica nello sportivo, il quale deve tuttavia essere informato che statisticamente solo due pazienti su tre riusciranno a tornare ai livelli pre-infortunio, percentuale peraltro molto cresciuta negli ultimi anni grazie a protocolli riabilitativi decisamente migliorati.
Le tipologie di tenorrafia (sutura dei monconi tendinei) descritte sono diverse, e ad oggi non si è in grado, sulla base dei risultati ricavati da migliaia di lavori scientifici, di affermare quale sia “la migliore”, sia per quanto riguarda la tecnica chirurgica (classica “a cielo aperto” o mini-invasiva) che per quanto concerne le tecniche di sutura (molteplici descritte negli anni).
Nello specifico, gli studi sembrano indicare, per la c.d. tecnica mini-invasiva (proposta negli ultimi anni), una minor incidenza di complicazioni legate alla guarigione della ferita, ma un aumentato rischio di danno del nervo surale (nervo sensoriale che innerva la regione cutanea postero-laterale della gamba e la regione laterale di piede, calcagno e caviglia).
Nella pratica poi, come in tutti i trattamenti ricostruttivi, risulta indispensabile la collaborazione stretta fra il chirurgo e l’equipe dedita al percorso riabilitativo, per adattare tempi e modi al singolo paziente, sulla base dei riscontri intraoperatori e del decorso successivo.
Di fondamentale importanza per un corretto recupero risulta infatti il percorso riabilitativo post-intervento, che avrà tempi che varieranno in base alle richieste funzionali (tipologia di attività sportiva e livello a cui viene praticata ) del singolo paziente.