Sistema neurovegetativo e terapia neurale - Medical Lab

Sistema neurovegetativo e terapia neurale

Quando un paziente, ma anche un collega, mi chiede cosa sia la Terapia Neurale, rispondo quasi sempre che non ho una spiegazione semplice, né breve. 

Potrei partire dalla definizione: la Terapia Neurale, nata in Germania negli anni ’20 del secolo scorso, è una metodica diagnostica e terapeutica medica che, attraverso l’inoculo di piccole quantità di anestetico locale (procaina, lidocaina) a livello locale e/o sistemico, mira a riequilibrare il sistema neurovegetativo, in particolare il sistema vagale, potenziando di conseguenza le capacità di autoguarigione intrinseche del nostro organismo. 

Ma presumo che, detto così, per la maggior parte dei lettori, ma anche dei colleghi, abbia poco significato.

Ecco perché, solitamente, prima di spiegare cosa sia e di cosa si occupi la Terapia Neurale, devo fare un passo indietro e parlare di un sistema troppo spesso dimenticato dalla medicina moderna, nonostante il suo ruolo indispensabile: mantenerci vivi e possibilmente in salute ogni santo giorno. Mi riferisco al sistema nervoso autonomo o neurovegetativo.

È lui che regola il battito cardiaco, la frequenza respiratoria, quanto sangue deve arrivare e dove, avvia e modula i processi infiammatori (non esiste infiammazione senza innervazione) e riparativi. E tutto questo senza la necessità di un nostro intervento cosciente. 

È il sistema evolutivamente più antico, non cosciente e, proprio per questo, estremamente rapido nelle sue reazioni. 

Possiamo immaginarlo come una sorta di intranet, una rete ubiquitaria, costantemente aggiornata in tempo reale, interconnessa con gli altri sistemi di regolazione (immunitario, endocrino ecc.), che sa esattamente dove, come e quando. Ogni singolo vaso sanguigno (dal più grande al più minuscolo) è avvolto da terminazioni neurovegetative.

Due sono le componenti principali: il sistema ortosimpatico e quello parasimpatico.

Entrambi lavorano in sinergia, spesso svolgendo funzioni apparentemente opposte, ma con un unico obiettivo comune: la nostra sopravvivenza.

In natura sostanzialmente tutto ruota intorno al nutrirsi e riprodursi. Cacciare, scappare, combattere, mangiare, digerire, riposarsi per accumulare energia ed essere pronto a cacciare o scappare di nuovo, essere in forze per avere più chance di procreare.

Ed è proprio il sistema neurovegetativo, con le sue due componenti (ortosimpatico e parasimpatico), ad occuparsene.

L’ortosimpatico gestisce le reazioni di attacco e fuga. È un sistema ad alta prestazione ed alto dispendio energetico. Mettiamo il caso che io sia una leonessa. Da lontano individuo un branco di antilopi. Ho fame, i miei piccoli hanno fame. In me si attiva l’ortosimpatico: le mie pupille si dilatano per vedere meglio, il sangue viene dirottato ai muscoli per avere più potenza, i miei bronchi si dilatano per respirare più efficacemente. L’antilope mi ha visto, e anche in lei si attiva lo stesso sistema, con fine opposto: correre più velocemente di me per sfuggirmi. Comunque vada a finire, al termine della caccia, questo sistema ad elevato consumo lascerà il posto al suo “antagonista”, il parasimpatico, deputato al riposo e all’assimilazione. Sostanzialmente, e semplicisticamente, una sorta di carica batterie, come quando attacchiamo il telefono dopo una giornata passata a smanettare tra video, giochi e social. Ma il parasimpatico fa di più: ripara, ripristina, lenisce. Ecco perché è più attivo di notte.

E allora a che serve la Terapia Neurale, direte voi, se tutto funziona alla grande, e da solo?

Ecco, è qui che la faccenda si complica. Perché, a differenza della leonessa e dell’antilope, noi esseri umani pensiamo, ci preoccupiamo, rimuginiamo, viviamo vite complesse, e questi sistemi, così efficienti in natura, possono andare in tilt e perdere la loro capacità di mantenere un equilibrio accettabile e compatibile con la nostra salute.

L’ortosimpatico nasce, tra l’altro, per gestire minacce. Ma minacce reali, contestuali, di breve durata. Se l’antilope semina la leonessa, non avrà più bisogno di dirottare sangue ai muscoli, di respirare più velocemente ecc. Il sistema si spegne, si attiva il parasimpatico e il processo si conclude fino al prossimo inseguimento.

Ma se invece la “minaccia” perdura, indefinitamente (situazioni stressanti sul lavoro, a casa, stili di vita scorretti, scarso riposo notturno, preoccupazioni, infiammazioni croniche ecc) ecco che questa alternanza può perdere il suo ritmo fisiologico e di conseguenza la sua efficacia. Il sistema ortosimpatico rimarrà attivo più del dovuto e del previsto, consumando progressivamente le risorse energetiche a sua disposizione fino all’esaurimento, a discapito delle funzioni riparatrici del parasimpatico. E quando questo succede si instaura un circolo vizioso dal quale è complicato uscire. Per fare un esempio, immaginiamo di avere 100 punti “energia”, come fosse un videogame. Mettiamo che, per questioni lavorative, la nostra spalla destra sia sottoposta a sollecitazioni ripetute in posizioni non ottimali. Questo porterà verosimilmente a una infiammazione di un tendine, non grave, che il nostro sistema neurovegetativo tenterà di gestire, probabilmente con successo (il classico dolore che va e viene). Ma se a questo si aggiungono altri fattori, fisici o psichici (obesità, diabete, ipertensione, malattie croniche, preoccupazione per i figli, un dente da devitalizzare con tutto il suo carico infiammatorio e il conseguente preventivo del dentista, una cicatrice che si fa sentire quando cambia il tempo nonostante siano passati molti anni), ecco che quei 100 punti iniziali si riducono velocemente, fino a non essere più sufficienti per consentire una gestione “autonoma” della spalla sovraccarica. Che a quel punto comincerà a farsi sentire, specie di notte, con conseguente scarso riposo e quindi scarsa ricarica delle batterie, con un circolo vizioso che si autoalimenta. 

E finalmente arriviamo alla Terapia Neurale. Come dicevo all’inizio, si avvale dell’uso di anestetici locali, iniettati localmente o a livello sistemico in piccole quantità, per riequilibrare la nostra rete.

Ma perché l’anestetico locale? E soprattutto, una volta finito l’effetto di “addormentamento” il dolore ritorna? 

Tutti gli organismi viventi si basano su processi chimici e fisici per il loro funzionamento. Il sistema nervoso utilizza correnti elettriche per comunicare molto rapidamente e a grande distanza. Se queste correnti vengono disturbate, ad esempio, da un processo infiammatorio cronico, da una cicatrice che si va sentire quando cambia il tempo, o da qualsiasi altra condizione patologica che altera le condizioni locali rendendo più suscettibile quella zona a stimoli che normalmente non susciterebbero una reazione (il cosiddetto campo di disturbo), ecco che salta fuori il sintomo. 

Gli anestetici locali funzionano sostanzialmente andando a modificare/bloccare processi chimici/fisici con il fine di ridurre, fino ad annullare temporaneamente, la capacità di dare il via e trasmettere impulsi elettrici. Inoltre, possiedono, chi più chi meno, proprietà antinfiammatorie, antistaminiche, antisettiche, addirittura antitumorali (almeno in vitro). Quindi andare a resettare il tratto coinvolto con una piccola quantità di anestetico può consentire di ripristinare, per quanto possibile, le “impostazioni di fabbrica”, quelle che madre natura aveva originariamente pensato, e interrompere il circolo vizioso. E quindi l’effetto terapeutico va al di là del mero effetto anestetico, inteso come riduzione della sensibilità. Inoltre, essendo una rete cibernetica a tutti gli effetti, l’applicazione di uno stimolo terapeutico in un punto avrà effetti che si rifletteranno su tutti il sistema, anche in sedi molto distanti e apparentemente non collegate (ad esempio, tratto una cicatrice di un cesareo e passa un mal di schiena che durava da tempo).

Per questo la Terapia Neurale, pur basandosi su concetti classici di neuroanatomia, neurofisiologia e farmacologia, grazie alla visione di insieme derivata dallo studio del sistema neurovegetativo e delle sue vastissime interconnessioni, può essere un approccio efficace in svariate condizioni patologiche, dai problemi muscoloscheletrici (contratture muscolari, tendinopatie, cervicalgie, lombosciatalgie ecc) a patologie sistemiche (artrite reumatoide, fibromialgia, fatica cronica, malattie neurodegenerative), con l’obiettivo di mettere il sistema neurovegetativo nelle migliori condizioni possibili per esprimere il suo intrinseco potenziale riparativo. 

Sia chiaro, non è l’acqua di Lourdes né la panacea di tutti i mali. Ai miei pazienti non “vendo” rimedi miracolosi. Ma offro la possibilità di provare a trovare nuovi equilibri, o recuperane di vecchi, che consentano loro di gestire, e se possibile risolvere, le patologie che li affliggono.

È un viaggio, un percorso condiviso, una sorta di danza a due che arricchisce il paziente e il terapeuta stesso. Il primo per gli effetti benefici e per la scoperta delle interconnessioni che regolano il nostro organismo, il secondo per l’esperienza fatta su quel particolare sistema e individuo.

 

Come si svolge in pratica una seduta di Terapia Neurale? Dottore, quante punture mi farà? E cosa devo aspettarmi? Queste sono alcune delle domande che i pazienti mi pongono. Partiamo con ordine. 

 

Quando non posso fare Terapia Neurale? 

Le controindicazioni sono molto poche: allergia agli anestetici locali, gravi patologie cardiache (blocco atrio ventricolare di terzo grado), miastenia gravis (una malattia autoimmune che prende di mira i muscoli), emofilia (più che altro per il rischio sanguinamento connesso alle iniezioni).

 

Quando è indicata?

A parte i disturbi psichiatrici puri, sui quali i risultati sono modesti, la Terapia Neurale può essere applicata sostanzialmente su qualsiasi patologia, poiché il sistema neurovegetativo è sempre coinvolto, talvolta come unico approccio terapeutico o a supporto di altre terapie, ad esempio nelle patologie oncologiche o neurodegenerative.

 

Come si svolge una seduta?

Una precisazione che faccio sempre ai miei pazienti: non si tratta di una singola puntura, ma di svariate iniezioni (in accordo con il paziente) con aghi sottili per minimizzare il fastidio, sia nella zona di dolore/disturbo riferito, sia in regioni connesse dal punto di vista anatomico e/o funzionale. La durata dipende da molte variabili: la patologia trattata, la gravità del quadro clinico, la tolleranza del paziente, la risposta del suo sistema neurovegetativo. Normalmente impiego circa una mezzora, fra preparazione, terapia vera e propria e osservazione degli eventuali effetti immediati, anche collaterali. 

 

Quali sono gli effetti collaterali? 

Come tutte le terapie infiltrative, anche la Terapia Neurale può provocarne, piuttosto raramente, sia locali, come ematomi, dolore nel sito di iniezione ecc, o sistemici, quali reazioni vaso-vagali, reazioni allergiche (estremamente rare) ecc. Normalmente, dopo una fase iniziale di possibile peggioramento dei sintomi come risposta compensatoria al trattamento, vi è un miglioramento sia locale che generale (maggior rilassamento, qualità del sonno migliorata ecc, riduzione/risoluzione del dolore e del problema sottostante).

 

Quante sedute devo fare?

Non c’è un protocollo fisso che vada bene per tutti, proprio perché ognuno è diverso e unico. Normalmente in 2-3 sedute a cadenza settimanale si cominciano a vedere gli effetti migliorativi. Raramente si superano le 5-6 sedute, se non per patologie croniche per le quali possono essere necessarie sedute periodiche di mantenimento.

 

Ci sono evidenze scientifiche sull’efficacia?

Sì, c’è un’ampia letteratura sugli effetti terapeutici degli anestetici locali e sulla terapia neurale di per sé, consultabile sul sito della Associazione Italiana di Terapia Neurale (www.neuralia.eu), che invito sempre a consultare per approfondimenti e delucidazioni.

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